Come stressarsi bene (anche in ferie): il paradosso del riposo che chiede performance
Come stressarsi bene (anche in ferie): il paradosso del riposo che chiede performance

Il tempo della sospensione (che non sospende)
L’estate, per molti, è il tempo della sospensione. Una parentesi che interrompe la routine e che promette riposo, leggerezza, libertà.
Eppure, sempre più spesso, quella che dovrebbe essere una pausa rigenerante si trasforma in un’ulteriore fonte di pressione e anche il tempo delle vacanze finisce per entrare nell’elenco delle cose da “fare bene”.
Mi ha sempre colpito, e in fondo rattristato, il fenomeno per cui la fatica del vivere quotidiano trova il suo senso solo nella prospettiva della sua sospensione. Come se il lavoro, il tempo della responsabilità, della cura, della costruzione, valesse solo in funzione della sua interruzione.
La passione che si fa impegno
Anche il lavoro scelto per passione o per vocazione può trasformarsi in obbligo, in peso, in compito.
La passione, una volta assunta nella trama dell’impegno e della responsabilità, cambia volto: non è più solo godimento, è anche perdita, rinuncia, fatica.
Ma ciò non la rende meno autentica, anzi, è proprio in questa traversata che essa si verifica.
L’imperativo della prestazione
Forse allora il problema non sta solo nella qualità del lavoro o nella sua corrispondenza con le inclinazioni profonde del soggetto. Forse il nodo è più profondo, più trasversale.
Tocca l’intero assetto della nostra cultura, fondata sull’imperativo della prestazione, sull’identificazione narcisistica con l’efficienza, con la competenza, con la capacità di rispondere sempre alle attese: del capo, del partner, del mondo.
Siamo continuamente convocati a “essere all’altezza”, a dimostrare che sappiamo fare, che possiamo farcela.
Il paradosso del relax performante
Il paradosso è evidente: cerchiamo relax ma lo carichiamo di aspettative. Vogliamo staccare, ma programmiamo ogni giorno con la stessa efficienza con cui viviamo il resto dell’anno.
Il tempo libero si riempie di attività, mete, esperienze, foto da postare, momenti da documentare. Come se il vuoto, il silenzio, l’inattività fossero qualcosa da evitare. Come se anche la vacanza dovesse “funzionare”.
Le aspettative che stressano
Parliamo spesso di stress legato al lavoro, ma trascuriamo quanto le aspettative, anche quelle “positive”, possano essere stressanti.
Lo stress psicologico, infatti, non dipende solo da quanto è “pesante” un compito, ma da come lo interpretiamo e da quanto ci sentiamo in grado di affrontarlo (Lazarus & Folkman, 1984).
Anche un momento di piacere può diventare faticoso, se lo viviamo con l’idea di doverlo ottimizzare, capitalizzare, rendere perfetto.
Il bisogno invisibile di “funzionare”
Questo imperativo quindi, non si limita al lavoro o alla dimensione pubblica.
Si insinua nelle relazioni, nella genitorialità, nella coppia, nel tempo libero, persino nel modo in cui riposiamo.
L’ozio viene sospettato, il vuoto temuto, la noia considerata un fallimento e il nostro valore sembra dipendere da quanto riusciamo a rispondere, sempre e comunque, alle aspettative, nostre e altrui.
Il teatro dei social media
A rafforzare questa pressione invisibile contribuisce in modo significativo la presenza costante dei social media che, come al solito, non sono né angeli né demoni.
Sono solo lì, con il loro occhio onnipresente, a ricordarci che esistiamo solo se qualcuno ci guarda e così ci guardiamo anche noi, con lo stesso sguardo del pubblico: mentre beviamo un caffè sul lungomare, mentre fingiamo di leggere un libro di carta, mentre sorridiamo al tramonto come se fossimo stati colti di sorpresa alla ventesima prova.
Nel grande palcoscenico del tempo libero, la vacanza diventa performance.
E la performance, per definizione, chiede applausi.
Altrimenti non è una performance, è solo vita che, a quanto pare, non basta più.
Il corto circuito dell’ozio connesso
Così si crea un corto circuito curioso:
andiamo in cerca di silenzio, ma ci portiamo dietro il bisogno di essere ascoltati;
vogliamo staccare, ma restiamo connessi;
desideriamo la libertà, ma ci misuriamo con le vite filtrate degli altri, quelle sempre più belle, sempre più invidiabili, sempre più irreali.
E poi ci chiediamo perché, tornati dalle ferie, ci sentiamo più stanchi di prima.
Forse perché abbiamo lavorato a tempo pieno per sembrare spensierati con il rischio opposto di sentirci svuotati, irritati, delusi dal fatto che nemmeno la vacanza ci abbia “salvato”.
Il corpo sa ciò che la mente ignora
In tutto questo, se la mente non si accorge del sovraccarico, lo fa il corpo.
È il corpo che si incarica di parlare quando noi non lo facciamo.
Spesso nella pratica clinica mi capita di incontrare persone attente, riflessive, capaci di leggere i propri stati d’animo che pure in certi momenti, ignorano segnali fondamentali: la stanchezza, il bisogno di vuoto, il diritto a non dover sempre “essere all’altezza”.
La pausa come atto sovversivo
Per questo è importante riconsiderare il senso della pausa.
Non come parentesi per “ricaricarsi e ripartire”, come se fosse una batteria da reinserire nel ciclo produttivo, ma come spazio di ascolto.
Come momento in cui possiamo uscire dalla logica della performance e riconnetterci con ciò che desideriamo davvero.
Il vero riposo: assenza di dover essere
Il vero riposo non è assenza di attività, ma assenza di dover essere.
Non è passività, ma libertà dal confronto continuo con un modello ideale di efficienza e felicità.
Solo quando abbandoniamo l’idea di “fare bene anche le vacanze”, possiamo davvero rilassarci e nel silenzio che si crea, forse, riscoprire chi siamo.
Il coraggio di non fare nulla
Forse dovremmo concederci il lusso raro, e un po’ rivoluzionario, di non fare nulla di speciale.
Nessuna scalata all’alba, nessun tramonto da immortalare, nessuna giornata “piena”.
Solo il tempo che scorre, senza prove da superare, senza spettatori da impressionare.
Una vacanza che non debba dimostrare niente a nessuno, nemmeno a noi stessi.
Conclusione: la libertà della lentezza
Imparare a stare fermi, a non programmare tutto, a non essere produttivi nemmeno nel tempo libero: ecco il vero atto di disobbedienza.
Perché in un mondo che ci vuole sempre in corsa, anche rallentare è una forma di coraggio.
E magari, alla fine, scopriremo che la felicità non è in ciò che mostriamo, ma in ciò che smettiamo di dover dimostrare.
Lasciamo che la vacanza sia ciò che deve essere: un tempo nostro, magari lento, magari un po’ noioso, magari fuori fuoco.
Ma finalmente libero.
Francesca Durante