Trattamento osteopatico nei pazienti oncologici: cosa dice (davvero) la letteratura
Trattamento osteopatico nei pazienti oncologici: cosa dice (davvero) la letteratura
Negli ultimi anni l’osteopatia è entrata con maggiore frequenza nei percorsi di supportive care in oncologia. La domanda chiave è se, quando e per quali esiti l’intervento osteopatico (OMT) aggiunga valore alle terapie standard. Una ricognizione delle pubblicazioni indicizzate in PubMed fino al 20 ottobre 2025 evidenzia pochi studi controllati, alcuni segnali promettenti su specifici sintomi e una solida base di fattibilità e sicurezza, ma anche limiti metodologici che richiedono conferme.
Dove abbiamo prove migliori
Dolore in cure palliative (adulti). Uno studio randomizzato, placebo-controllato in unità palliativa (75 pazienti) ha confrontato OMT “standard” con trattamento sham ogni due giorni per una settimana. Dal giorno 3 l’OMT ha prodotto una riduzione del dolore (VAS) via via maggiore fino al giorno 6, con −43,2% a fine studio e un −31,6% nelle richieste di analgesia tramite PCA; nessun segnale di sicurezza rilevante [1]. Risultati coerenti con un ruolo dell’OMT come coadiuvante analgesico in palliativa, da validare in contesti multicentrici e su orizzonti temporali più lunghi [1].
Tossicità digestive in chemioterapia adiuvante (mammella). Un RCT in doppio braccio (n=94) su donne operate per tumore mammario e trattate con FEC100 ha mostrato che l’OMT non riduce l’incidenza clinico-riportata di nausea/vomito o stipsi rispetto a una manipolazione superficiale di controllo; tuttavia migliora in modo significativo i domini di qualità di vita riferiti dalle pazienti per stipsi e diarrea [2]. Il beneficio quindi appare centrato sul vissuto sintomatologico più che sugli eventi oggettivati [2].
Dolore cronico post-chirurgia della mammella. Un RCT monocentrico (n=28; studio interrotto per lento arruolamento) non ha osservato differenze sul dolore (VAS) a 3, 6 e 12 mesi tra analgesia standard da sola vs. associata a osteopatia. A 3 mesi, però, si sono rilevati miglioramenti nel punteggio HADS-depressione, nel dolore riferito e nella qualità di vita globale nel braccio con osteopatia [3]. Potere statistico insufficiente e numerosità ridotta impongono cautela [3].
Dove abbiamo soprattutto segnali di fattibilità/sicurezza
Pazienti geriatrici ricoverati (tumori misti). Studio controllato non randomizzato (n≈24) in riabilitazione oncologica: con OMT aggiunto alla fisioterapia si è vista una riduzione del dolore nel tempo, senza differenze robuste tra gruppi; qualità di vita non significativamente diversa [4]. Disegno e campione limitano l’inferenza causale [4].
Oncologia pediatrica. Due piloti prospettici confermano che l’OMT è fattibile e sicuro sia in ambulatorio (8 settimane; nessun evento avverso serio; aderenza completa) sia in degenza (erogazione strutturata e ben tollerata) [6,7]. Un’esperienza di integrazione clinica in emato-oncologia pediatrica segnala buona implementabilità del percorso osteopatico, pur senza esiti comparativi [8].
Prospettiva dei pazienti. In un qualitativo su pazienti in palliativa, l’osteopatia è percepita come intervento olistico, utile per dolore, fatica e sonno, e apprezzata per la bassa “carica farmacologica”; resta scarsa la consapevolezza su cosa sia effettivamente l’OMT [5].
Evidenza aneddotica. Un case report pediatrico (bambina in remissione da retinoblastoma) descrive, dopo tre sedute di OMT, un miglioramento della variabilità della frequenza cardiaca (equilibrio autonomico) e della cefalea: osservazione interessante, ma non dimostrativa [9].
Cosa possiamo concludere (e cosa no)
- Sicurezza/integrazione. Nei contesti valutati (palliativa, riabilitazione geriatrica, pediatria) l’OMT risulta ben tollerata e integrabile nei percorsi standard, se erogata da professionisti formati e in coordinamento con l’équipe oncologica [6–8,1].
- Efficacia mirata. Ad oggi gli esiti più coerenti riguardano dolore in palliativa (beneficio clinicamente rilevante a breve termine in RCT) e qualità di vita per sintomi digestivi in chemioterapia (beneficio patient-reported, senza differenze sugli eventi clinici). Per il dolore cronico post-chirurgia i dati sono inconcludenti sugli endpoint primari, con segnali su umore/QoL [1–3].
- Qualità delle prove. La letteratura resta eterogenea (tecniche, dosaggio, comparator “sham” vs. usual care), spesso con campioni piccoli e rischi di bias; servono RCT multicentrici con outcome pre-specificati, follow-up più lunghi e reporting dettagliato di tecniche e dosaggi [4].
Implicazioni pratiche
- Considerare l’OMT come opzione aggiuntiva in palliativa per il controllo del dolore e, in pazienti in chemioterapia, per migliorare il vissuto di stipsi/diarrea; nei quadri post-chirurgici l’aspettativa va centrata su benessere globale più che su una riduzione certa del dolore [1–3].
- In ambito pediatrico, l’adozione è ragionevole sul piano della sicurezza in setting strutturati; l’efficacia richiede verifica con studi controllati [6–8].
In sintesi: l’OMT in oncologia appare sicura e integrabile, con prove incoraggianti su dolore in palliativa e alcuni domini di qualità di vita; tuttavia le evidenze sono ancora insufficienti per raccomandazioni universali. La priorità è una ricerca clinica più ampia e rigorosa, centrata su esiti importanti per le pazienti e i pazienti e su comparatori credibili [1–3].
Monica Denti D.O.
Bibliografia
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